sabato 28 maggio 2011

RISPOSTA AD ANNA BANDETTINI- che si interroga sullo stato di salute della critica teatrale

ovvero "perchè è nato teatro guardato"
di Cosimo Attico


La critica teatrale c’è o no? Così titola l’ultimo articolo che compare sul blog della giornalista di Repubblica Anna Bandettini.
È una domanda che io e miei collaboratori ci poniamo da tempo, nel tentativo di ridefinire il ruolo di uno strumento, quello della critica teatrale, che abbiamo visto negli ultimi dieci anni diventare sempre più un organo politico che uno strumento di tramite.


Ricordo un episodio di qualche anno fa. In uno dei templi del teatro milanese, seduto a vedere lo spettacolo, assisto alla conversazione di due appassionate spettatrici non più giovani le quali, con ritaglio di giornale alla mano, pochi minuti prima delll’inizio dello spettacolo, si chiedevano se sarebbe stato brutto come la recensione diceva. Era un giornale importante, non c’era motivo di metterlo in discussione, soprattutto accettando la propria ignoranza in materia. E fin qui tutto normale. Ho chiesto alle signore di prestarmi il ritaglietto e ho letto la recensione. Non la trovai affatto negativa: si poteva cogliere un attacco abbastanza aggressivo alle politiche di quell’importante teatro, un pallido sostegno agli attori che meno appartenevano a quella struttura, l’elogio di una regia finalmente interessante in confronto alle altre produzioni del teatro. Non un accenno agli elementi dello spettacolo. Non una riga che aiutasse le signore nella fruizione del lavoro.


Cito quell’episodio ma potrei raccontarne molti altri. Se in quel momento avessi dovuto rispondere cos’è la critica avrei detto che era un giudizio su un lavoro complesso, messo in relazione con gli altri spettacoli presentati in quel teatro. Se in quel momento mi fossi domandato (e l’ho fatto) quale era l’utilità dell’operazione di critica la risposta sarebbe stata attribuire o negare un valore ad un progetto.
È questo il compito della critica? Giudicare gli spettacoli, in base a un giudizio che poco si distanzia dal bello-brutto, in quella semplificazione dicotomica che getta dalla torre o salva dalla distruzione? (non è anche un giochino frequente nei programmi televisivi?)


Ma quale potrebbe essere invece il ruolo della critica? Dicesi critica “insieme di analisi, interpretazioni e commenti relativi ad un’opera artistica”(Enciclopedia Zanichelli 1994) .
Nel sovracitato articolo ci si limitava al commento, come quasi sempre succede. Talvolta, nelle critiche più apprezzate dal sottoscritto, il commento è affiancato dall’interpretazione, ma l’analisi difficilmente trova posto nelle poche righe dedicate all’analisi teatrale (ricordo un quotidiano per cui ho scritto che mi chiedeva 1750 caratteri per recensione, a voi il calcolo della pochezza delle righe e di conseguenza dei contenuti!).


La critica teatrale potrebbe e dovrebbe essere un tramite tra linguaggi, uno strumento che dia le chiavi di accesso ad un pubblico per entrare nella lingua propria di quel lavoro. La critica potrebbe e dovrebbe inoltre essere un’analisi dettagliata del lavoro di quella traduzione intersemiotica che è la messa in scena, dovrebbe analizzare il lavoro fatto dall’equipe, e servire a regista attori e collaboratori come riscontro del lavoro fatto.


Certo, non sempre è possibile. Talvolta c’è ben poco da analizzare.


Ma gli elementi che intervengono in uno spettacolo sono tanti e complessi, dal testo di origine al testo spettacolare, al lavoro di interpretazione degli attori, il lavoro sul linguaggio, il rapporto con la contemporaneità, luci e costumi, prossemica spaziale, il movimento, gli effetti sonori e le musiche (e sono tutti gli elementi che tentiamo di analizzare in ogni scritto che pubblichiamo su teatroguardato).
Ed ecco che accettando la complessità del teatro il critico smette di essere arbiter godibilitatis ma diventa semiologo, traduttore e interprete di una rete complessa, diventa colui che cerca di districare un filo da un altro, miniaturista che analizza i segni e li rende comprensibili e fruibili. Non credo che serva al teatro italiano qualcuno che dall’esterno decreti se un lavoro è buono o cattivo, ma credo che la critica possa essere uno strumento etico, un modo per far avvicinare al teatro chi non parla il linguaggio teatrale, e nello stesso tempo un riscontro utile a chi ha creato quell’opera.


Rispondo alla domanda senza risposte di Anna Bandettini: la critica non esiste più, non una critica adatta ai tempi. Con questo obiettivo abbiamo iniziato a scrivere questo blog: vogliamo essere un punto di riferimento che analizzi, interpreti e commenti la scena teatrale contemporanea.
Non sto negando la soggettività del critico. È impossibile non far agire nel momento in cui si scrive i propri gusti, la propria natura, il proprio sentire, ma nel momento in cui questo è esplicitato e distinto dall’analisi, il lettore/spettatore ha la possibilità di essere informato e non manipolato, come tanta mala informazione tende a fare (teatrale e non solo teatrale), sostituendosi al giudizio critico di chi legge e anzi immaginando che non ne abbia uno. 

Speriamo di riuscire nel nostro intento. 

1 commento:

  1. Ciao Cosimo,
    sono Andrea Bloise, attore salernitano da qualche mese a Roma dopo il conseguimento del titolo di laurea magistrale in Teorie della comunicazione audiovisiva con tesi in Media Comparati avente per oggetto la comparazione di testi di Ibsen, Pirandello e Joyce. Ho, invece, concluso la triennale con una tesi in Semiotica del Teatro. Premesso questo, non posso che essere partecipe dei numerosi dubbi e perplessità che ti/vi poni/ete circa l'attuale condizione della critica teatrale.
    Personalmente ho fatto domanda presso i principali giornali italiani come critico teatrale (attività che parallelamente alla recitazione mi piacerebbe coltivare dando così seguito anche agli studi universitari) e ho anche presto contatti con riviste on-line, giungendo alla seguente conclusione: il mondo di internet presenta quelle che potremmo definire "sacche di resistenza", e voi ne siete un'autorevole testimonianza; la carta stampata ha completamente rimosso l'analisi della performance dai propri compiti. Motivi? Da un lato è forse ritenuta la critica teatrale di scarso interesse (cosa secondo me non vera), da un altro è perché scarseggiano i competenti. Chi attualmente scrive di teatro che reali conoscenze ha di Semiotica del Teatro? Su quali basi fonderebbe una credibile e apprezzabile critica di uno spettacolo senza conoscere la differenza tra "strutturalismo praghese" e "approccio pragmatista"? Come si orienterebbe all'interno del sistema pluricodico della performance senza avere cognizione dei 13 punti del polacco Kowzan?
    Non è affatto preminente per l'informazione lo svolgimento di un ruolo guida, l'assunzione di responsabilità di aiutare lo spettatore (che col pragmatismo diventa un vero e proprio attante della performance) a scavare o almeno a far ordine tra i tanti livelli semiotici che si intrecciano nel corso di uno spettacolo teatrale.
    Lacune mostruose si trovano anche nella preparazione degli stessi attori...
    Ma nonostante tutti questi aspetti negativi, mi sento invece fortunato a potermi confrontare con te/voi, perché evidentemente non tutto è perduto...

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