mercoledì 13 aprile 2011

Ronconi e lo spazio: gabbia di bambola.

“NORA ALLA PROVA”, REGIA DI LUCA RONCONI, DA “CASA DI BAMBOLA” DI HENRIK IBSEN.

di Cosimo Attico

Casa di bambola è forse il più noto dramma borghese del teatro europeo, uno dei più rappresentati e interpretati (molto criticato quando venne scritto, nel 1879, divenne simbolo del femminismo nascente): la bambola del titolo è la giovane Nora, moglie spensierata e amata, protagonista di un processo che la porta alla consapevolezza di essere il prodotto di un sistema sociale, la famiglia borghese, che annulla la sua identità, rendendola la bambola prima del padre poi del marito. Nora deciderà di abbandonare la casa e la famiglia, scappando dal nido che ha condiviso con un uomo che le è ora estraneo, così come lei è estranea a se stessa. Speculare alla vicenda di Nora è quella dell’amica Kristine, alla ricerca di una realtà familiare che ha perso con la morte di un marito che non amava, convinta che lavorare per qualcuno sia l’unica possibilità di essere felici. Ronconi affida a Mariangela Melato entrambi i ruoli di Nora e Kristine, speculari e opposte nel percorso che compiono sulla scena, mentre altre due attrici, L’Altra Nora e L’Altra Kristine, le uniche in abiti ottocenteschi, si muovono nello spazio quasi mute: la Melato dà vita ai due personaggi, che insieme formano un immagine completa e moderna del mondo femminile. Attraverso la sperimentazione dello spazio e del testo Nora alla prova è nello stesso tempo il racconto del percorso di Nora e lo studio che porta alla costruzione di un ruolo teatrale, delle ragioni profonde che lo muovono. La scena, uno spazio vuoto creato da Margherita Palli, illuminato dalle luci di Sandro Sussi, è una sala prove che gli attori, in abiti informali da prova, modificano muovendo i pochi elementi scenici, le sedie, un tavolo, qualche oggetto. Non aggiungono nulla al racconto le casette per le bambole che scendono dall’alto nel corso dello spettacolo, elementi simbolici di quella metafora donna-bambola, già nel titolo dichiarata. Unico elemento sonoro è l’assordante rumore di grida di uccelli all’inizio dello spettacolo; dopo pochi minuti gli uccelli si zittiscono (ma Nora è ancora in gabbia, e questo può confondere lo spettatore), per tornare alla fine dello spettacolo, poco prima della decisione della donna di scappare dalla gabbietta in cui ha cinguettato per tutta la vita, nutrita dal suo marito-uccellatore. Ronconi trova nell’uso dello spazio la sua più alta dimensione comunicativa; tutti i movimenti che vediamo sulla scena ci raccontano qualcosa che riguarda profondamente il percorso della protagonista, la dipendenza di Nora dal marito, la specularità Nora/Kristine, Nora/Rank, il simbolo di morte da cui Nora si sente attratta e rappresentata, Nora/Krogstad, l’uomo cui Nora si è legata da un debito all’insaputa del coniuge, vittima come lei di una realtà violenta. Anche l’uso del movimento è uno dei segni forti del lavoro: Nora viene fisicamente mossa dal marito sulla scena (esattamente come lei muove i tre bambolotti che le sono figli), il dottor Rank si sposta grazie ad una sedia a rotelle, Krogstad è seduto o appoggiato agli oggetti, quasi incapace di reggersi in piedi da solo, il marito si colloca per la maggior parte del tempo in una zona del palco che si muove sotto di lui, facendogli mancare la terra sotto i piedi. Lo spazio non viene mai usato in modo realistico, le azioni reali che compiono i personaggi sono dette dagli attori. Nora si alza e va ad aprire alla porta, recita la Melato, mentre il suo corpo fugge nel punto più lontano possibile da quella porta. Anche il testo, come lo spazio, viene scardinato: gli attori recitano le didascalie, talvolta alcuni frammenti di testo vengono sperimentati nelle loro diverse possibilità interpretative, viene portata sulla scena anche una versione alternativa del finale (che Ibsen cambiò prima della messa in scena), in cui Nora accetta di rimanere nella casa del marito, prima di tornare alla versione definiva e andarsene sbattendo la porta. Più che una bambola la Nora di Mariangela Melato è un uccellino domestico, tenta più volte invano di volare, di fare il verso degli uccellini a cui il marito l’ha paragonata, ma non è né uccello né creatura umana, solo figlia, moglie e madre. Talvolta alza la voce in modo affettato per differenziare Nora da Kristine, come se il percorso che la vediamo fare non fosse quello di ogni creatura umana che affronta la ricerca della propria identità, ma di una donnina fragile e leziosa. Smentisce in questo modo la sensazione che sia Kristine che Nora possano essere la stessa donna, che prima rifiuta il tetto coniugale per poi tornarci una volta rimasta sola. Tra gli altri attori spicca Paolo Pierobon, il marito di Nora ottuso e umano, incapace di rendersi conto che il suo sistema si sta disgregando sotto i suoi occhi. Giovanni Crippa restituisce in modo toccante al mortifero dottor Rank il fascino terribile della morte, diventando immagine stessa del mondo in declino che Ibsen sta raccontando. Riccardo Bini, incastrato nella caratterizzazione di un uomo vendicativo, manca l’appuntamento con l’umanità di Krogstad, vittima, lui come tutti, del sistema borghese da cui è stato rifiutato. Peccato che alle altre due attrici che interpretano Nora e Kristine non sia stata data la possibilità di essere effettivamente L’Altra Nora e L’Altra Kristine, come dichiara il loro ruolo in locandina, ma rimangano quasi dei manichini utili a creare le interessanti geometrie sulla scena. Precisi e ironici gli interventi della cameriera di Irene Villa, termometro e spettatrice del percorso di Nora. Il pubblico applaude ad ogni ingresso della Melato, prima ancora che proferisca verbo, molti cellulari squillano, molti tossiscono convulsamente, mentre lei porta alla fine il suo lavoro senza mai un accenno di distrazione. Si ha più volte la sensazione di trovarsi di fronte ad un esercizio di virtuosismo stilistico vagamente annoiato, che sembra sacrificare l’approfondimento dei segni proposti in favore di un gioco scenico talvolta macchinoso. Lo spettacolo rimane tuttavia un esempio dell’integrità registica di Ronconi, lontano da tanti abusi di segni, scenografie e azzardi registici di tanto teatro contemporaneo che teme di non essere notato.

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