sabato 4 febbraio 2012

FAVOLA

Applausi e ammirazione per la Diva Timi
scritto e diretto da Filippo Timi
con Filippo Timi, Lucia Mascino, Luca Pignagnoli

L’ultimo spettacolo di Filippo Timi, noto attore di teatro e di cinema (lo ricordiamo soprattutto per l’interpretazione del giovane Mussolini in Vincere di Bellocchio), si apre su  una scena che rappresenta l’ interno di un salottino anni 50, dietro il quale compare un corridoio di entrata, con scale che portano ad un piano superiore (evidentemente solo suggerito). La scena è di stampo filodrammatico, ha il sapore di quegli allestimenti delle compagnie amatoriali che “infarciscono” il palcoscenico di suppellettili estremamente realistici e alquanto kitsch, per restituire al pubblico un’atmosfera casalinga: tavolini, poltrone, oggettini vari, piante, alberi di natale, telefoni, bottiglie e bicchieri, tappeti,... L’intento del regista, in questo caso, è evidentemente ironico: la scena vintage e molto colorata già suggerisce lo scopo dello spettacolo: una parodia della vita borghese. Infatti Filippo Timi entra in scena vestito con abiti da donna MiùMiù, e si presenta subito come magnifica padrona di casa, contenta di parlare ad un cane barboncino impagliato, dopo che Stene, suo marito, l’ha ucciso a colpi di botte. Timi si muove in scena come una Diva degli anni 50, imitando gesti e posture delle grandi attrici americane, dichiarando esplicitamente il proprio amore per Judy Garland. In realtà sulla trama dello spettacolo c’è pochissimo da raccontare: lei è incinta, aspetta un bambino che dovrebbe chiudere il cerchio di una vita borghesemente perfetta: casalinga, moglie e madre. Lei ha anche un’amica del cuore, interpretata da una bravissima Lucia Mascino, e degli strani vicini, tre giovani fratelli gemelli, interpretati dall’acerbo Luca Pignagnoli, e una madre terrorizzata dall’arrivo degli UFO e ossessionata che la figlia mangi molte banane per assimilare potassio, questo personaggio in realtà non compare mai in scena, le conversazioni fra le due donne avvengono al telefono, un omaggio forse ai grandi sketchs di Franca Valeri (che viene omaggiata anche da uno dei vari video di annata all’interno dello spettacolo, cha fanno come da siparietto). Questi personaggi dovrebbero mostrarci che la vita di Timi non  è così tanto perfetta, che i mariti tradiscono le mogli, anche con gli uomini, che le donne sono a tratti lesbiche,  a volte pedofile. Lo spettacolo si chiude con l’omicidio di Stene e un inno all’amore libero e privo di pregiudizi. Un po’ poco per le tre ore di durata dello spettacolo: niente di più di un sit-com americana anni 50, con vaghe inspirazioni hitchcockiane (nei cambi di luce dal realistico all’astratto).
Ma veniamo alla cosa più interessante dello spettacolo, ovvero la sua metodologial’improvvisazione. Avevo già parlato di questo in un altro articolo, recensendo lo spettacolo di Cristina Pezzoli, ne torno a parlare ora, perché mi sembra molto interessante che sia tornata così fortemente di moda una tecnica in voga negli anni 70, e praticamente sparita per un ventennio. Gli attori improvvisano, hanno un filo conduttore da seguire (i personaggi che interpretano) delle piccolissime cose da toccare per mandare avanti l’esile trama, per il resto pare sia frutto di una continua invenzione sulla scena. Pare è il termine esatto, perché non è così chiaro se gli attori stiano improvvisando realmente o ce lo  facciano soltanto credere. A me sembra entrambe le cose. E’ lo stesso Timi a suggerire l’ambiguità entrando subito in una torbida relazione con il pubblico: ride egli stesso alle battute che fanno ridere il pubblico in sala, creando una specie di strano patto che sembra dire State tranquilli, vi farò sganasciare dalle risate, guardate quanto mi diverto io!
Ahimè  questo però succede tante di quelle volte che ad un certo punto sembra uno strumento che Timi utilizza per misurare il grado di coinvolgimento del pubblico e non una reale perdita del controllo dell’attore, appare uno strumento furbesco. E affinché il pubblico rida a si diverta, non gli si risparmia niente, lo spettacolo è senza regole: ogni cambio di voce, di atteggiamento, di situazione sono leciti, ogni cattiveria o divertissement da fare ai propri colleghi sono benvenuti, fino ad arrivare a rompere una bottiglia, spero di finto vetro, in testa alla povera Mascino, che veramente sorpresa e scioccata (ma siamo sicuri che fosse veramente sorpresa?) gli dice Ma sei scemo? facendo crepare il pubblico dalle risa. Potrei raccontare un centinaio di gag: dalla caramella all’arancia assaporata per 5 lunghissimi minuti, al bacio omo-pedofilo, ai balletti, il mimo, agli ettolitri di beverone alla menta che Timi fa obbligatoriamente ingurgitare ai suoi compagni di scena,...
Il pubblico ci sta, il pubblico ride, applaude, impazzisce per la Diva Timi. Che è effettivamente bravo e padrone dei suoi mezzi. Ma qui arriva la domanda cruciale: perché tutto ciò? A chi serviva? Timi usa lo spettacolo e il teatro come se fosse padrone di casa e il pubblico un suo proprio ospite da intrattenere, e soprattutto un ospite che intrattenga lui per tre ore. L’esito e lo scopo è il solito italiano: il pubblico ha bisogno di qualcuno da amare, da idolatrare, come in politica, come nel calcio, come in televisione, anche in teatro si ripresenta  il noto meccanismo italiano del rapporto tra servo e padrone. Il Padrone (Timi), rischia la propria vita (cioè si mette in gioco in scena) per affermare la propria indipendenza e superiorità, raggiunto lo scopo si eleva su quelli che sono diventati i suoi servi (gli spettatori) che preferiscono la perdita della propria indipendenza (in questo caso l’intelligenza analitica, la coscienza che il teatro serve al mattatore quanto al pubblico, in egual misura) pur di aver salva la vita (tre ore si svago dove pensare e capire è vietato). Anche il servo diventa importante per il padrone, perché dal lavoro di quello dipende il suo stesso mantenimento (le risa, gli applausi a scena aperta, lo sbigliettamento, l’amore per il mattatore, aumentano la sua autostima e il suo portafoglio). Siamo alle solite, gli italiani amano i Vanagloriosi, i presuntuosi, i vanitosi, Timi, come Berlusconi, usa un bene pubblico, il teatro, per un suo bisogno privato: soldi, carriera, vanità.
Come in politica o nei ruoli pubblici, è Timi ha dettare le leggi e le regole che gli altri devono seguire, ma che lui, e solo lui, può trasgredire a suo piacimento, senza una reale giustificazione. L’importante è l’apparire (gran begli abiti) non l’essere. La sua indiscutibile bravura, il suo talento, li ha divorati l’ambizione. Pericolo ancora più grande la stampa; se il giornalista accorre a Porta a Porta o a Matrix quando vanagloria o cronaca pettegoliera da palazzo di potere richiedono la sua presenza, così il critico dello spettacolo dal vivo si affretta a straparlare dell’evento teatrale dell’anno (Timi, o Scamarcio non importa) per risentirsi utile e per riaffermare il suo patto, ormai definitivamente rotto, con il pubblico (anche il critico vuole essere amato e venerato). Smarrito il rigore intellettuale, il giornalista teatrale ha cambiato veste editoriale, la sua pagina non si occupa più del teatro del pensiero, ma del teatro dell’evento. Si è passati, come in politica, dalla necessità all’effimera vanità. Quindi ad uno stato di allarme.

Fernanda Soana

2 commenti:

  1. Gentile Delia, è giustamente la sua opinione. Punti di vista, compresa la sua sintetica ed educata osservazione.

    RispondiElimina